Titolo: In a tidal wave of mystery (you’ll still be standing next to me)
Autore:
dio_niso
Fandom: Batman: TDKR
Personaggi: John Blake, Barsard, Dr. Crane, Adam (OC)

Paring: Bane/Blake
Avvertimenti: what if?, au , w.i.p., wings, furry, dark, slash, long-fic
, violenza,tentato suicidio, tentacles, splatter
Rating: NSFW
Word: 3.3445  fiumidiparole
Prompt: Tentacoli per la #2 settimana del Genetics Fest su fanfic_italia
Disclaimer: Batman e i suoi personaggi non mi appartengono e con questi scritti non ci guadagno nulla.
Note: QUESTO CAPITOLO È STATO UN PARTO GEMELLARE!!! T_T non riuscivo proprio a concluderlo :(
Vi avviso che il rating si è alzato da giallo a rosso e che gli avvertimenti – come ho detto anche nell’altro capitolo - potranno variare ancora, per cui fate attenzione prima di leggere.
Alcuni mi hanno chiesto se Barsard è un Original Character. Bé, no. Barsard è un personaggio realmente esistente nel film, il secondo in comando dopo Bane. Per chi non avesse ancora capito chi sia ecco un set di gif per aiutarvi :3 Ringrazio Eiriin e sunrise.nina per aver betato il capitolo in tempi record!

1. Coz wings are made to fly

2. Non tutti gli angeli sono nati per volare.

«Mi ucciderai?»

La domanda gli sorge spontanea mentre steso sul lettino della sua cella John guarda Barsard entrare e portare con sé la colazione.
Non mangerà nulla, non ha fame.

Ha deciso che preferisce morire piuttosto che vivere come un mostro, sapendo che da un giorno all’altro il suo corpo potrà mutare ancora in qualcosa di peggiore.

L’odore di uova si espande per la stanza e al solo pensiero di dover buttare giù un po’ di cibo gli viene la nausea.

Si volta verso il muro contro cui è poggiata un’ala e la fissa con odio.

Sono diventate molto più grandi, raggiungono quasi la lunghezza delle sue braccia ormai, e sono più chiare, quasi bianche.

John sfiora, per l’ennesima volta, le soffici e delicate piume che la ricoprono. Ci passa una mano e le distende portandole tutte nella stessa direzione.

Da un paio di giorni è diventato sensibile anche in quella parte del corpo e riesce a sentire il tocco delle mani. Finalmente, ha imparato a muoverle, nonostante i suoi movimenti siano ancora impacciati ed incerti. Riesce ad aprirle e chiuderle, ad agitarle e avvolgerle intorno a sé come se fossero uno scudo.

Barsard ha detto che è una cosa positiva, che col tempo si abituerà ad esse, ma John sa che non accadrà.

Si volta nuovamente verso il suo carceriere che non gli ha ancora risposto. Lo sta fissando con uno sguardo indecifrabile senza parlare o muoversi, quasi confuso dalle parole del suo prigioniero. Probabilmente lo sta osservando da quando ha preso parola, ma John non riesce a prestare alla cosa la dovuta attenzione.

Alla fine Barsard dice semplicemente «Mangia.» senza aggiungere altro, mettendogli davanti un piatto di quelle che si rivelano essere salsicce e una frittata di uova.

Il disgusto deve essergli trapelato dal viso perché l’altro aggiunge «Hai perso troppo peso, John. Mangia.» non ammettendo repliche.

Vorrebbe chiedergli: “Cosa te ne importa?” ma probabilmente l’altro lo nutrirebbe con la forza senza neppure rispondergli, così si mette seduto sul letto e afferra una posata.

Mangia molto lentamente come se portare la forchetta alle labbra fosse troppo doloroso.

Barsard non lascia la cella come fa di solito, resta per tutto il tempo accanto alla porta guardandolo mangiare. È abbastanza inquietante come cosa, ma John è troppo impegnato nella battaglia interna contro la sua volontà per cercare di non vomitare quel poco che è riuscito a mandare giù, per fare un commento stizzito verso l’uomo.

L’odore di uova lo sta facendo impazzire e, ogni volta che respira, la nausea batte forte per prendere il sopravvento.

John mangerà solo le salsicce.

Quella frittata odiosa non si avvicinerà mai alla sua bocca.

«Come va la schiena?» chiede Barsard dalla sua postazione.

La domanda è così improvvisa che John trasalisce spaventato, versandosi un po’ di acqua addosso e bagnando anche i pantaloni.

Barsard non è mai stato un tipo loquace sin da quando lo ha incontrato la prima volta, non ha mai fatto domande.

John è sbigottito e non riesce a trovare le parole per rispondergli perché la sua mente è un continuo “Cosa?!?” e “Perché?” che lo distraggono dalla domanda che gli è stata posta.

Deve davvero avere un aspetto orribile se anche il gelido e apatico mercenario cerca di distrarlo dai suoi cupi pensieri.

«Non fa più male.» risponde dopo un po’, cercando di riconcentrarsi sulla carne nel piatto e non sulla fronte corrugata di Barsard o sui suoi occhi vispi.

«Bene.» dice spostandosi dalla porta e rimettendosi diritto.

«Se inizi a provare altri dolori dimmelo, ok?» aggiunge poi, come per mettere in chiaro una cosa.

«Perché, se te lo dico tu farai andare via il dolore? O farai tornare il mio corpo normale?» risponde acido, ormai stanco di tutta la preoccupazione che l’altro gli sta mostrando. Non sono amici, Barsard non deve preoccuparsi per lui.

È solo un altro prigioniero come gli altri, non è speciale.

«John-»

«Devo fare la pipì.» lo interrompe bruscamente. Non ha intenzione di ascoltare altro, è stanco di tutto quel parlare.

“Perché non vai via? Perché non mi lasci in pace?” si chiede cercando una risposta che non può trovare.

Barsard non aggiunge altro facendo cadere il discorso nel nulla.

Apre la porta della cella ed aspetta che sia John ad uscire per primo, per poi seguirlo.

- - -

Ci sono dei finestroni nei bagni, posizionati molto in alto sui muri che portano aria fresca nel locale.

John è grato di poterne prendere una boccata almeno una volta al giorno: essere rinchiuso in una cella per tutto il tempo è una sensazione opprimente, quasi claustrofobica.

Si dirige verso uno dei cubicoli dei bagni per fare effettivamente la pipì. Non sa perché, ma l’idea di mentire a Barsard gli fa stringere un nodo allo stomaco come se stesse facendo qualcosa di ingiusto, di sbagliato.

Eppure la cosa sbagliata è proprio questa: perché mai dovrebbe sentirsi in colpa per aver risposto male al suo carceriere? Ad uno degli uomini che insieme a Bane ha aiutato a prendere il controllo della città di Gotham, terrorizzando ed uccidendo persone innocenti? No, non ha il diritto di sentirsi in colpa per averlo trattato male. Barsard sarà stato anche carino con lui, ma è pur sempre il nemico e non deve dimenticarlo.

D’un tratto confuso e arrabbiato, prende uno degli spazzolini ancora incartati da una mensola e si lava i denti con foga, non guardando neppure per un attimo il suo riflesso nello specchio. Non ha voglia di vedere le ali attaccate alla schiena, il motivo della sua prigionia.

Sfrega con più forza di quanto necessario le setole dello spazzolino contro i denti, e del sangue fuoriesce dalle gengive cadendo poi nel lavandino.

Le piccole macchie rosse catturano la sua attenzione e, con le labbra ancora sporche di dentifricio, John alza lo sguardo e lo punta diritto in quello riflesso nello specchio.

È più pallido di quanto immaginasse: ha il viso scavato e gli occhi, rossi e stanchi, cerchiati di nero. I suoi capelli, ormai più lunghi di come è solito portarli, sono spenti e opachi. Aggiungendo una sensazione di squilibrio al suo aspetto, conferendogli un’aria ancora più malaticcia del solito.

La rabbia sembra essere stata prosciugata via dal suo corpo perché tutto d’un tratto si sente completamente svuotato, debole di fronte all’immagine consumata e fragile che ha di sé in quel momento.

Vorrebbe piangere, vorrebbe poter avere la forza e la capacità di fare qualcosa per cambiare la situazione, per farla tornare com’era prima.

Sta morendo, lo vede chiaramente scritto in ogni linea del suo volto.

Sta morendo dentro lentamente e nulla potrà fermare questo processo.

Le ali si stagliano alte dietro le sue spalle, quasi come una presa in giro, e John guardandole è di nuovo arrabbiato. Si asciuga il dentifricio dalle labbra con un movimento stizzito del braccio, adirato con sé stesso.

“Non voglio morire così.” si dice, “Non voglio dover morire di collera ed ira, lasciando che l’apatia e la sofferenza mi divorino ogni giorno di più!”

Scaglia con violenza lo spazzolino contro il muro alla sua destra e digrigna i denti come un leone in gabbia.

La rabbia e la violenza che aveva tenuto rinchiuse dentro di sé in tutto questo tempo, premono per un uscire e lui non vuole trattenersi.

Vorrebbe urlare e rompere tutto, ma sa bene che questo porterebbe solo a richiamare l’attenzione di Barsard che lo trascinerebbe nella sua cella senza più permettergli di uscire.

Non voglio morire così!” urla allora nella sua mente e scaglia con forza un calcio nella parete con il solo risultato di aggiungere altro dolore a quello che già prova.

Mentre si abbassa per tenersi la gamba dolorante fra le mani, le ali lo sbilanciano in avanti e cade a terra. Sconfitto in una guerra che non ha vincitori, lascia che alcune lacrime gli sfuggano dagli occhi mentre fissa il grigio della parete.

Proprio in quel momento, mentre sta guardando una crepa un po’ più larga delle altre, un’idea prende forma nella sua testa: “Perché non farla finita?” si dice, “Perché non farlo come voglio io?”

Si alza velocemente dal pavimento e guarda la lametta sulla mensola di fronte a lui.

“Un taglio netto e preciso e poi sarà tutto finito.” pensa mentre si avvicina nuovamente al lavandino e prende la lametta da barba in mano.

“Non è così difficile. Togli la lama, John. Fallo!” si impone prendendola in mano e staccando la parte tagliente dal resto.

Ha le mani tremanti ed il respiro spezzato mentre lo fa.

La paura lo rende succube e, per quando posiziona la lama contro il polso sinistro, ha gli occhi pieni di lacrime che gli impediscono di vedere bene ciò che sta facendo.

Il suo corpo è interamente scosso da tremiti. Non riesce a trovare la forza per premere un po’ di più contro la pelle e romperla.

“Ce la puoi fare, John. Devi farlo! Fallo John, fallo!” si dice ancora ma, nel momento esatto in cui la lama taglia la pelle, la lancia contro il vetro e si lascia cadere a terra, privo di forze.

La lama rimbalza sul vetro per poi finire accanto a lui.

John non le presta attenzione guardando con sgomento il rivolo di sangue che fuoriesce dal taglietto sul polso.

È scosso, spaventato da se stesso a causa di ciò che stava per fare e confuso, perché ancora non riesce a capire ciò che gli sta accadendo.

“Dio mio cosa stavo per fare.” pensa, mentre si porta le mani al viso, nel vano tentativo di nascondere la verità ai suoi occhi.

Dopo minuti che sembrano ore, si alza lentamente sulle sue gambe tremanti e si sostiene al lavello per ritrovare l’equilibrio.

Lo specchio sembra esser lì, pronto a deriderlo, quando John alza lo sguardo.

La prima cosa che incontra sono quelle odiose ali che occupano tutto lo sfondo.

«Che cosa mi avete fatto?!» urla davvero questa volta, scagliando un pugno contro lo specchio ed infrangendolo in mille pezzi.

«Mi avete reso un mostro, un MOSTRO!” lascia il lavandino e scivola dolorosamente a terra.

La porta si spalanca di colpo, sbattendo contro la parete ed aggiungendo altro rumore al frastuono del vetro rotto.

Barsard lo fissa per un attimo lunghissimo in cui tante emozioni si fanno strada sul suol volto, poi si affretta a raggiungerlo per valutare i danni, tutto in rigoroso silenzio.

John ha solo il tempo di afferrare un pezzo di vetro e nasconderlo tra le molle del pantalone prima che l’altro lo afferri per le braccia e lo rimetta in piedi senza sforzo.

Una volta tornato nella sua cella, Barsard lo lascia per pochissimi minuti - il tempo di recuperare un kit di pronto soccorso e tornare da lui - ma abbastanza per permettergli di nascondere la sua nuova arma sotto il materasso.

Si guarda le mani tagliate in più punti e la ferita profonda nel palmo destro, provando quasi vergogna per il suo scoppio d’ira.

Barsard non commenta, ma i suoi occhi dicono molte cose mentre gli pulisce con cura tutte le ferite per poi medicarle.

Guardandolo, John vorrebbe così tanto piangere che non si rende conto di quando inizia a farlo davvero.

- - -

«Cosa è successo a te?»

Solo quando pronuncia quella frase si rende conto per la prima volta di non averglielo mai chiesto.

John è in piedi contro la piccola finestrella sulla porta della sua cella, mani bendate e doloranti, ali grandi e candide come la neve.

Si sente uno strano rumore dalla stanza accanto, ma nessuno risponde.

Adam è strano da giorni: parla poco, si irrita facilmente e non ha preso bene la notizia del suo tentato suicidio. John sospetta che lo abbia interpretato come una sorta di tradimento nei suoi confronti, un abbandono in cui non gli ha neppure detto addio. Vorrebbe poter risolvere le cose velocemente, ma sa che solo il tempo potrà aiutarlo a ripristinare il rapporto che avevano prima.

Il silenzio si prolunga per troppo tempo.

“Che stia dormendo?” si domanda.

Proprio quando sta per tornarsene a letto, arriva l’inattesa risposta del suo amico.

«Non ti riguarda.» risponde, con così tanta freddezza che John non riesce a contestare.

Vorrebbe poter dire “Io ti ho raccontato tutto, però!” ma già sa che non porterebbe a nulla e ci farebbe solo la figura dello stupido, così si morde la lingua e non controbatte.

«Stai bene Adam?» chiede allora in un sussurro appena udibile.

Non vuole perdere anche l’unica persona che gli è amica in quel posto.

Non vuole restare solo di nuovo.

Un sospiro pesante è l’unica risposta alla sua domanda, poi sente le molle del letto cigolare e capisce che Adam non ha alcuna intenzione di parlare quella sera.

Rattristato e a tratti ferito, si volta nuovamente nella cella tornando a letto con mille pensieri che gli affollano la mente.

- - -

«Adam?»

La voce spaventata di John non riesce a richiamare l’attenzione del suo amico. Le sue urla sono troppo forti ed il dolore, che lo ha colpito all’improvviso, è troppo intenso per permettergli di udire altro se non l’agonia della sua pelle rompersi sotto le sue mani.

«Adam!» urla allora John, ma egli non risponde, spaventato da ciò che gli sta accadendo. Continua imperterrito ad urlare così forte che nel giro di cinque minuti il corridoio si riempie di guardie e la porta della sua cella viene aperta.

John è spaventato, aggrappato alle sbarre della finestrella della sua porta non può fare altro se non guardare le guardie arrivare e precipitarsi nella cella accanto.

Sente molti uomini imprecare, alcuni fare versi disgustati cercando di trattenere i conati di vomito. Quelle reazioni innescano il panico in John che li prega, li scongiura, li implora affinché gli diano notizie, gli facciano sapere cosa sta accadendo al suo amico.

Nessuno parla, nessuno gli presta attenzione e, per una manciata di secondi, restano muti a fissare inebetiti la cella di Adam.

Le urla diventano sempre più acute e strazianti e nessuno sembra sapere cosa fare per aiutare il suo compagno. John piange e cerca di calmarlo chiamando il suo nome, parlando con lui.

Quando vede Barsard nella folla di persone, lo chiama fino a quando non riesce ad ottenere la sua attenzione.

«Aiutalo.» dice solo con la voce rotta dal pianto e dai singhiozzi, ma sembra bastare perché quello abbai ordini in una lingua che John non riconosce. Gli uomini si muovono lesti, aiutando Adam ad uscire dalla cella ed a posizionarsi su un lettino improvvisato.

Quello che John vede lo sciocca profondamente.

Le gambe e le braccia di Adam sono completamente ricoperte di sangue; la pelle è rotta in più punti, mostrando addirittura i muscoli al di sotto di essa, ma non è questo che realmente impressiona John, no. La causa del suo turbamento sono i tentacoli che fuoriescono dal busto e dalla schiena dell’amico.

Quelli sul busto sono tre di diversa misura; il più grande è al centro, poco sotto lo sterno. Sono di un colore grigiastro che a John dà la sensazione di marcio. Sono ricoperti di una patina gelatinosa e lucida che lui riesce a vedere sin da dietro le sbarre della sua porta.

Si muovono indemoniati come se avessero vita propria e, aggiunti ai movimenti del corpo di Adam in preda alla sofferenza, non aiutano i mercenari a stabilizzare il suo amico.

La nausea lo colpisce all’improvviso come un pugno nello stomaco non appena vede un pezzo di pelle del braccio staccarsi da solo e cadere a terra.

C’è una sostanza viscida sotto di essa. Ora è ben visibile. John realizza improvvisamente che quello che sta accadendo al suo amico è una mutazione: i suoi arti si stanno trasformando in tentacoli.

Si stacca di colpo dalla porta, si piega in due e vomita tutto quello che è riuscito a mangiare quel giorno.

Le urla di Adam continuano nonostante lo stiano portando via lungo il corridoio opposto alla sua cella.

L’orrore di quello che ha appena visto non gli permette di chiudere gli occhi e, per tutta la notte, continua a dar di stomaco ogni volta che rivede nella sua mente l’immagine del suo amico.

Adam non torna più nella sua cella.

- - -

John si è chiuso in un mutismo ostinato da quando ha capito che Barsard non gli dirà cosa è successo al suo amico, cosa ne è stato di lui.

Tre settimane sono passate nell’apatia più assoluta e con la consapevolezza che ciò che è accaduto ad Adam accadrà anche a lui, è solo una questione di tempo.

Barsard a modo suo ha cercato di distrarlo dai quei pensieri cupi, ma come si fa a dimenticare ciò che ti sta accadendo, quando due fottute ali gigantesche ti si parano dinanzi ad ogni occasione?

In questo periodo i suoi pensieri si sono alternati fra Adam, le sue ali e il pezzo di vetro affilato che ha nascosto sotto il materasso.

Di notte si ritrova a contemplarlo chiedendosi se, forse, non dovrebbe portare a termine quello che settimane prima non è riuscito a fare. A volte pensa che sia una buona idea, altre lo nasconde prima che possa pensare nuovamente quelle cose.

Le ali sono solo il principio, eppure tutto è iniziato a causa loro e John vorrebbe staccarle, toglierle dalla sua schiena così da tornare ad essere se stesso. Purtroppo per quanto tiri e strappi le piume, quelle restano bene attaccate.

Una sera usa il vetro contro la base di un’ala, proprio all’attaccatura con la schiena, ed il dolore è talmente forte che si ritrova a boccheggiare in cerca d’aria, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime ed il sangue gli bagna la schiena.

Quella notte si fa male, ma impara che come qualsiasi altra parte del suo corpo le ali possono essere tagliate via. Deve solo trovare un modo per attenuare il dolore, l’arma adatta c’è l’ha già.

Pulisce la ferita per quanto gli è possibile e la ricopre con la maglietta così che Barsard non sospetti nulla.

Qualche giorno dopo si ricorda che Barsard gli ha detto che, in caso di nuovi dolori, avrebbe dovuto avvisarlo subito. L’ultima volta gli ha portato degli antidolorifici, ciò di cui John ha bisogno per mettere in atto il suo piano, così inizia a mentire e a fingere che la schiena abbia ripreso a fargli male.

Geme e supplica sperando di essere convincente fino a che, il giorno dopo, quando il suo carceriere compare portandogli un nuovo flaconcino di medicine, si sente immancabilmente in colpa per le menzogne dette.

Afferra comunque gli antidolorifici senza ripensamenti.

“Questa notte.” decide, “Lo farò questa notte e poi sarà libero.”

- - -

Le luci si spengono tutte una dopo l’altra e le guardie iniziano ad allontanarsi nel corridoio.

Barsard l’ha osservato per tutto il pomeriggio con uno sguardo strano.

John ha già preso metà delle pillole durante la giornata, ora si sente stanco ed indolenzito. Quelle sono una vera e propria droga e lui ne è lieto, perché così sentirà meno dolore.

«Va tutto bene John?» lo sente chiedere.

Non riesce a trattenere un sorriso reale, sincero. Il suo tono è così preoccupato che si ritrova a pensare che in un’altra occasione sarebbero potuti essere amici.

«Se vuoi posso restare con te, questa notte. Ti farò compagnia.» si offre l’altro quando non ottiene risposta.

Il panico lo colpisce all’improvviso quando si rende conto che se Barsard resta con lui il suo piano andrà in fumo.

«No!» dice con più veemenza del dovuto.

«Non ne ho bisogno.» aggiunge, poi, vedendo lo sguardo ferito dell’altro.

«Non ne ho bisogno, sono solo stanco.»

Barsard annuisce senza dire altro per poi voltarsi ed andare via.

Dalla sua espressione John capisce di averlo ferito e si sente uno stronzo per come l’ha trattato: è stato gentile e lui l’ha praticamente sbattuto fuori di lì!

“Stupido idiota.” si dice per poi aggiungere “Stupido senso di colpa!”

Prende altre tre pillole e le manda giù con un sorso d’acqua, tende l’orecchio per sentire eventuali rumori e, quando è certo che non c’è più nessuna guardia, prende il pezzo di vetro da sotto al materasso.

Tre sospiri profondi poi inizia ad incidere sotto l’ala sinistra. Fa male, nonostante abbia preso tutti quegli antidolorifici.

Cerca di essere il più preciso e silenzioso possibile.

Quando riesce a staccare la prima ala, sta piangendo in ginocchio sul pavimento.

Il corpo è scosso da tremiti, il sangue gli ricopre la schiena.

Pur non vedendolo sa che c’è un taglio netto e profondo proprio lì dove ha inciso.

Stringe gli occhi per prendere coraggio, passa la lama nell’altra mano e taglia l’altra ala.

Il dolore si fa sempre più acuto e John non riesce più a reprimere i singhiozzi.

Le urla di dolore escono dalla sua bocca senza che se ne renda conto.

Le mani gli tremano incontrollate e del sangue esce dalla ferita che si è procurato al centro del palmo, dove si è conficcato il vetro dello specchio.

L’ala è mezza appesa alla sua schiena; ancora poco e l’avrà staccata, ma non avendo più la forza di usare la lama improvvisata, l’afferra con la mano e la strappa via.

L’urlo è così forte che sveglia l’intero piano, e prima che possa accorgersene, Barsard è sulla soglia spalancata che lo fissa, sgomento.

John si accascia a terra e sviene.

 
 
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